IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Rilevato che Adamo Gaetano in data 21 giugno 1990 veniva arrestato in flagranza del reato di detenzione di 11 dosi di eroina (quantificati in gr 0,287 di sostanza pura dal laboratorio di analisi dell'U.S.S.L. 29 di Bergamo incaricato dal p.m.) e in sede di convalida ammetteva non solo la detenzione attuale, ma anche detenzioni pregresse nonche' la sua attivita' di piccolo spaccio; Rilevato inoltre che il predetto, attualmente agli arresti domiciliari ai sensi dell'ordinanza pronunciata in data 25 giugno 1990 dal g.i.p. all'esito dell'udienza di convalida, veniva rinviato a giudizio con decreto di giudizio immediato del 18 agosto 1990 su richiesta del p.m. del 10 agosto 1990; Rilevato infine che l'Adamo, a mezzo del difensore munito di procura speciale, chiedeva in termini l'applicazione del rito abbreviato ai sensi dell'art. 458 del c.p.p., e che il p.m. esprimeva il proprio dissenso "non intendendo rinunciare alla possibilita' di appello della sostanza qualora fosse irrogata una pena non ritenuta proporzionata ai fatti e alla personalita' del prevenuto". O S S E R V A Il meccanismo processuale di cui all'art. 458 del c.p.p. prevede un "giudizio abbreviato atipico" conseguente all'emissione del decreto di giudizio immediato, evidentemente al duplice scopo di offrire all'imputato per il quale il p.m. abbia scelto la procedura di cui agli artt. 453 e seguenti del c.p.p. di usufruire dei benefici - processuali sostanziali del rito abbreviato consentendo anche in questo caso alle parti la possibilita' di concludere il processo prima del dibattimento, pure gia' fissato. Tuttavia l'articolo oggetto di esame non prevede ne' l'obbligo per il p.m. che dissenta di manifestare il proprio dissenso (in quanto il silenzio nei termini di legge configura una sorta di "silenzio rifiuto") ne' quello di motivare tale dissenso eventualmente manifestato. Questi due profili rivestono grande interesse per quanto attiene alla legittimita' costituzionale dell'istituto in quanto indirettamente rendono il p.m. arbitro dell'applicazione di un rito che, pur avendo effetti di natura squisitamente processuale, non e' certo privo di effetti sostanziali, vantaggiosi per l'imputato - e spesso per lui di gran lunga piu' allettanti dei primi - cio' priva l'imputato non solo della possibilita' di veder celebrato il processo in camera di consiglio e ottenere la riduzione automatica di 1/3 della pena, ma perfino del diritto a veder valutata la sua istanza da parte del giudice, con violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione. I suddetti profili non appaiono tuttavia rilevanti nel caso di specie in quanto p.m. ha espresso in termini un dissenso motivato alla richiesta di rito abbreviato presentata dall'Adamo Gaetano. Tuttavia, come la Corte costituzionale nelle sue sentenze n. 66 dell'8 febbraio 1990 e n. 183 del 18 aprile 1990 non ha mancato di sottolineare, la motivazione del dissenso da parte del p.m. non ha alcun senso logico-giuridico se non e' poi consentito al giudice di valutare il dissenso stesso ed eventualmente disattenderlo applicando comunque la riduzione di pena prevista dall'art. 442, secondo comma, del c.p.p. Nel caso di specie la normativa speciale di cui all'art. 458 del c.p.p., cosi' come quella generale dalla stessa richiamata, non prevede alcun meccanismo di controllo da parte del giudice. Cio' si appalesa in contrasto: 1) con l'art. 24 della Costituzione perche' non garantisce il diritto della difesa alla valutazione e decisione da parte del giudice su un'istanza da cui possono discendere importanti effetti anche di carattere sostanziale; 2) con l'art. 3 della Costituzione per la irragionevole posizione di supremazia implicitamente riconosciuta ad una parte processuale (p.m.) rispetto all'altra attraverso l'esercizio di una sorta di diritto di veto su un'istanza da questa avanzata; 3) con l'art. 3 della Costituzione per la disparita' di trattamento che potrebbe verificarsi fra coimputati con posizioni uguali cui il p.m. rispettivamente conceda o neghi il consenso; 4) con l'art. 3 della Costituzione per la diversita' di trattamento in cui viene a trovarsi l'imputato che chiede il giudizio abbreviato nel caso del giudizio direttissimo e del giudizio immediato, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 183 del 18 aprile 1990 la quale nel primo caso ha dichiarato la incostituzionalita' della norma che non prevedeva la sindacabilita' del dissenso del p.m. e ha consentito al giudice di applicare la riduzione di pena quando abbia ritenuto ingiustificato il dissenso stesso; 5) con gli artt. 101 e 102 della Costituzione perche' in contrasto con le attribuzioni proprie del giudice, impone all'organo giudicante delle limitazioni incompatibili con l'esercizio della potesta' giurisdizionale che gli compete e lo rende soggetto non piu' solo alla legge, ma al potere discrezionale (in quanto non sindacabile) del p.m. cui viene per questa via attribuito un potere decisorio, sia pure mediato dalla scelta del rito, in ordine alla misura della pena; 6) con l'art. 25 della Costituzione perche', affidando all'arbitrio del p.m. l'applicazione del rito e quindi della riduzione di pena, fa dipendere la misura della stessa (con o senza la riduzione di 1/3) non dalla legge, ma da un atto di parte, violando sul punto la riserva di legge che viceversa imporrebbe per scelte anche procedurali che incidono direttamente sulla pena l'individuazione di criteri astratti, generali e sindacabili. La questione di legittimita' costituzionale, cosi' prospettata, oltre che non manifestamente infondata appare rilevante per due motivi: 1) perche' l'imputato non avrebbe piu' la possibilita' di reiterare la sua richiesta in quanto il rito abbreviato e' tipico della fase antecedente al dibattimento (ad accezione dei casi di rito direttissimo e transitorio); 2) perche' in concreto questo giudice ritiene che il possesso sia definibile allo stato degli atti sicche' il motivo addotto dal p.m. non puo' assumere rilievo e rappresenta una motivazione solo apparente, che in realta' nasconde un'opzione del tutto discrezionale. Infatti, conformemente a quanto evidenziato dalla Corte costituzionale nelle gia' citate sentenze e a quanto emerge da una interpretazione sistematica dell'istituto, i criteri di riferimento del p.m. per la motivazione del dissenso dovrebbero ricollegarsi alla decidibilita' del processo allo stato degli atti. In ogni caso la suddetta motivazione non e' condivisibile in quanto investe uno degli effetti tipici del rito abbreviato, normativamente previsto (v. art. 442, secondo comma, richiamato dall'art. 458 del c.p.p.) e voluto dal legislatore nell'esercizio del suo potere sovrano cui il p.m. e il giudice non possono e non devono sottrarsi con forme di disapplicazione, quale sarebbe il diniego del rito abbreviato per il solo motivo che uno degli effetti dello stesso non e' gradito o condiviso.